Il salone

Il salone

La lettura degli affreschi del salone è parzialmente compromessa da numerose picchettature e lacune pittoriche dovute all’applicazione degli stucchi settecenteschi e alla loro successiva rimozione.

Le pareti sono scandite da una finta intelaiatura architettonica: sopra un alto basamento, con riquadri di marmo misto, si ergono colonne scanalate di ordine ionico che reggono un architrave continuo, con mensole e riquadri alternati, ornati da finti cammei.

All’interno di questa bianca cornice illusiva, si inseriscono le porte e finestre reali e quattro scene dipinte, che hanno come elemento comune la presenza di una figura femminile di natura regale, riconoscibile in ogni riquadro dall’uniformità dell’abbigliamento.

Si tratta di Scylla, figlia di Niso re di Mègara, la cui sfortunata vicenda viene narrata da Ovidio nell’VIII libro delle Metamorfosi.

Il primo riquadro raffigura l’assedio della città di Mègara da parte delle truppe del bellissimo primogenito di Europa, Minosse, che voleva vendicare l’uccisione del figlio Androgeo. Dall’alto delle mura del castello di Alcàtoe, in cima ad una torre, si scorge una piccola figura azzurrina: si tratta della principessa Scylla, che ammirando le splendenti armature dei cretesi in battaglia si innamora perdutamente del comandante nemico, seduto su un cavallo bianco in primo piano e riconoscibile per lo splendido elmo irto di penne.

Tormentata dai pensieri d’amore, la fanciulla compie un gesto disperato per conquistare i favori di Minosse: nel secondo riquadro ella si introduce nottetempo nella stanza del padre Niso, raffigurata come una grande terrazza, e gli recide dal capo il fatato capello purpureo dal quale, stando al mito, dipendevano le sorti del regno.

Con il cuore colmo di speranza, Scylla si reca nell’accampamento cretese: nella terza scena, ella si presenta al cospetto di Minosse porgendogli con la mano destra una ciocca dei capelli paterni, in pegno d’amore. La reazione del comandante tuttavia è di puro sdegno: costernato dal tradimento messo in atto dalla fanciulla, ordina alla sua flotta vittoriosa di sciogliere gli ormeggi per salpare alla volta di Creta.

Disperata, Scylla si getta in mare, aggrappandosi alla nave di Minosse e invocando per sé la punizione paterna. L’ultimo affresco corrisponde infatti al tragico epilogo della storia: Scylla è aggrappata all’imbarcazione, mentre nei pressi di una torre in lontananza si intravede la sagoma di Niso, in atto di trasformarsi in aquila marina per aggredire la figlia con il becco adunco. L’uccello in primo piano potrebbe dunque indicare o la metamorfosi completa del padre o quella di Scylla, che a sua volta si tramuta in una Ciris, ovvero in un airone.

Le sovrapporte del salone rappresentano invece, secondo una fonte settecentesca, le Quattro parti del giorno, l’Aurora, il Mezzogiorno, il Crepuscolo e infine la Notte. (Barbara Maria Savy, Sara Danese)

Crediti fotografici immagini villa

© Comune di Abano Terme e Università degli Studi di Padova, Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica (foto Michele Barollo e Simone Citon)

La lettura degli affreschi del salone è parzialmente compromessa da numerose picchettature e lacune pittoriche dovute all’applicazione degli stucchi settecenteschi e alla loro successiva rimozione.

Le pareti sono scandite da una finta intelaiatura architettonica: sopra un alto basamento, con riquadri di marmo misto, si ergono colonne scanalate di ordine ionico che reggono un architrave continuo, con mensole e riquadri alternati, ornati da finti cammei.

All’interno di questa bianca cornice illusiva, si inseriscono le porte e finestre reali e quattro scene dipinte, che hanno come elemento comune la presenza di una figura femminile di natura regale, riconoscibile in ogni riquadro dall’uniformità dell’abbigliamento.

Si tratta di Scylla, figlia di Niso re di Mègara, la cui sfortunata vicenda viene narrata da Ovidio nell’VIII libro delle Metamorfosi.

Il primo riquadro raffigura l’assedio della città di Mègara da parte delle truppe del bellissimo primogenito di Europa, Minosse, che voleva vendicare l’uccisione del figlio Androgeo. Dall’alto delle mura del castello di Alcàtoe, in cima ad una torre, si scorge una piccola figura azzurrina: si tratta della principessa Scylla, che ammirando le splendenti armature dei cretesi in battaglia si innamora perdutamente del comandante nemico, seduto su un cavallo bianco in primo piano e riconoscibile per lo splendido elmo irto di penne.

Tormentata dai pensieri d’amore, la fanciulla compie un gesto disperato per conquistare i favori di Minosse: nel secondo riquadro ella si introduce nottetempo nella stanza del padre Niso, raffigurata come una grande terrazza, e gli recide dal capo il fatato capello purpureo dal quale, stando al mito, dipendevano le sorti del regno.

Con il cuore colmo di speranza, Scylla si reca nell’accampamento cretese: nella terza scena, ella si presenta al cospetto di Minosse porgendogli con la mano destra una ciocca dei capelli paterni, in pegno d’amore. La reazione del comandante tuttavia è di puro sdegno: costernato dal tradimento messo in atto dalla fanciulla, ordina alla sua flotta vittoriosa di sciogliere gli ormeggi per salpare alla volta di Creta.

Disperata, Scylla si getta in mare, aggrappandosi alla nave di Minosse e invocando per sé la punizione paterna. L’ultimo affresco corrisponde infatti al tragico epilogo della storia: Scylla è aggrappata all’imbarcazione, mentre nei pressi di una torre in lontananza si intravede la sagoma di Niso, in atto di trasformarsi in aquila marina per aggredire la figlia con il becco adunco. L’uccello in primo piano potrebbe dunque indicare o la metamorfosi completa del padre o quella di Scylla, che a sua volta si tramuta in una Ciris, ovvero in un airone.

Le sovrapporte del salone rappresentano invece, secondo una fonte settecentesca, le Quattro parti del giorno, l’Aurora, il Mezzogiorno, il Crepuscolo e infine la Notte. (Barbara Maria Savy, Sara Danese)

Crediti fotografici immagini villa

© Comune di Abano Terme e Università degli Studi di Padova, Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica (foto Michele Barollo e Simone Citon)